La formazione è sempre un buon investimento?
L’investimento in formazione al pari di quello finanziario comporta dei rischi, in parte diversi, ma non più accettabili: denaro investito, tempo impiegato o perso a seconda dei punti di vista, aspettative soddisfatte o disattese, spendibilità del percorso formativo sul mercato, obsolescenza delle competenze acquisite.
Il denaro non è il problema principale, visto che esistono parecchi corsi gratuiti, dei quali, semmai, bisogna fare una valutazione di utilità o funzionalità rispetto a quello che ci serve veramente acquisire in termini di abilità o competenze.
Riguardo al tempo impiegato, risorsa scarsa per eccellenza, forse si è meno sensibili nel perderne, quando i corsi sono gratuiti e si è magari in una condizione di scarsa occupazione.
Solitamente si è invece meno magnanimi nei confronti delle aspettative disattese: ogni scelta formativa porta con sé un carico inevitabile di aspettative riguardo alle competenze che si riusciranno ad acquisire, ma soprattutto alla spendibilità del percorso formativo una volta completato il corso.
Le analisi predittive sulla spendibilità del percorso formativo sul mercato, che scuole ed enti dovrebbero effettuare in fase di progettazione, sono spesso sommarie o inesistenti, in primo luogo perché richiedono elevate competenze di settore e conoscenze del mercato di riferimento, in secondo luogo perché richiederebbero il ricorso a risorse esterne all’ente, con relativo costo da sostenere.
Tempo fa ebbi un confronto con un tutor di un ente di formazione che stava progettando un corso per social media marketing specialist, soddisfatto di fare cosa utile per quanti si fossero iscritti e per le innumerovoli aziende, che, a dir suo, erano alla disperata ricerca di tali figure; il requisito minimo era quello di essere disoccupati e con tempo da impiegare nel corso di circa 40 ore.
Ho accolto con lieve stupore 🙂 la risposta evasiva del tutor alla mia domanda di quantificare e specificare meglio la richiesta delle aziende, nonché di avere contezza del fatto che il mercato non abbia già figure esperte in tale ambito, onde non alimentare le speranze di quanti, disoccupati, si ritrovino a frequentare un corso, senza che poi questo sia sufficiente a trovare un impiego.
Ho più tardi saputo che il corso era stato seguito da persone dai percorsi professionali più disparati: dal geometra di 40 anni, all’estetista di 54 anni, fino al contabile di 58 anni.
Penso che sia utile promuovere l’alfabetizzazione digitale a tutti livelli e a qualunque età, ma ciò non deve esimerci dal dire che le professioni digitali non possano essere improvvisate e richiedano tanto studio e pratica, e che forse un over 50 con un percorso totalmente diverso avrebbe, semmai, bisogno di essere orientato verso un percorso di specializzazione attinente al suo settore professionale.
Senza poi dimenticare che non si parla mai abbastanza di obsolescenza della formazione, ovvero, se ho seguito e concluso un corso di alta pasticceria e non ho mai preparato una frittella per anni, a distanza di tempo dal corso non potrò certo pretendere di preparare una Saint-Honoré.
È difficile ammetterlo, ma qualche volta, ahimè, si corre il rischio di incappare in corsi inutili!
E se proprio non si vuole rischiare, meglio un buon libro di un corso inutile…
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