Milano: grandi chef, degustazioni e nuovi trend
La settimana appena trascorsa ha visto Milano “capitale del lifestyle italiano e luogo privilegiato per la nascita di tendenze nel food, quindi, nuove opportunità di consumo e condivisione”, come affermato da Federico Gordini alla Milano Food Week.
Da iniziative imprenditoriali a vocazione urbana e con aspirazioni internazionali, come la manifestazione appena terminata, emergono spunti e idee interessanti per quanti vogliano cimentarsi nel settore della ristorazione e scegliere percorsi formativi in linea con le tendenze del settore.
Il Lifestyle Kitchen, in particolare, è stata la cucina tematica dedicata agli ultimi trend gastronomici e all’influenza che l’evoluzione degli stili di vita ha sulle nostre abitudini di consumo.
Le storie di straordinario successo e la cucina di tre grandi chef, Viviana Varese, Filippo La Mantia e Wicky Priyan, hanno colpito la mia attenzione per la capacità di riuscire a creare nuovi concept ristorativi, che hanno nella passione per il mestiere, nella cura del cliente e nell’espressione della propria identità nella creazione delle ricette, dei forti tratti in comune.
Viviana Varese
Chef di origine campana, si avvicina ai fornelli grazie alla trattoria di pesce di famiglia. La sua storia personale e professionale la porta, poi, a lasciare la Campania per imparare e formarsi in ristoranti di grandi maestri, l’Albereta, del Maestro Gualtiero Marchesi e El Celler De Can Roca, a Girona.
Di Viviana Varese colpisce la passione e la forza con le quali ha portato avanti il suo percorso nelle cucine di grandi ristoranti, anche in giro per il mondo, per diventare poi, nel 2011, una chef stellata. Ha dimostrato tenacia per riuscire ad inserirsi e lavorare in brigate di cucina, dove, solo 25 anni fa, c’erano per lo più uomini. È stata una delle prime cuoche donne a fare lo stage presso il ristorante di Marchesi, dove poi è rimasta a lavorare per 4 mesi.
La ricetta presentata per la Milano Food Week è “La maritata”, unione tra due ricette tradizionali, Maritata e Pancotto. Vengono messe in infusione verdure amare di stagione e qualche verdura dolce, verza, porro, cavolo nero, cime di rapa, catalogna, bietolina e 4 tipologie di carni, per circa 8 ore; il brodo che ne risulta è molto concentrato e saporito, mentre in un’altra padella viene messo ad ammollare il pancotto per 3 min. La signature finale della chef è l’uso di erbette aromatiche fresche, finocchietto e menta, provenienti da un grande orto del parco sud di Milano.
La chef parla dell’uso di prodotti slow food, dell’attenzione ai sistemi di allevamento e ai luoghi di produzione – “perché se vogliamo essere sostenibili dobbiamo anzitutto pensare al cibo che fa bene alle persone”.
Domando alla chef come vede il ristorante del futuro e se sia possibile delineare delle tendenze nella ristorazione.
La risposta di Viviana Varese è: “In cucina, a differenza dalla moda, che propone le cartelle del 2021 per le divise del personale del locale, bisogna smettere di copiare i trend di altri Paesi, Francia, Spagna, Danimarca, ma cercare di valorizzare le tradizioni della nostra grande cucina. È un bene che ci sia varietà nell’offerta e che le persone abbiano la possibilità di scegliere, oggi un determinato ristorante per mangiare il piatto di uno chef e riconoscerne la storia e l’identità, domani scegliere ancora un ristorante diverso. Ciascuno ha la sua storia e deve cercare di portare nella cucina quello che ha dentro”.
Interessante il concetto espresso dalla chef riguardo alla possibilità di creare un nuovo concept per la ristorazione che sia accessibile a tutti: “Oggi c’è un grande distacco tra chi può spendere tanto e accedere ai ristoranti stellati e chi può spendere poco”. Per l’apertura del suo nuovo locale Spica, in via Melzo a Milano, ha pensato ad un luogo conviviale ed informale che va oltre il bistrot, considerata la seconda linea, adatto, quindi, sia ad una clientela giovane e meno giovane, che proporrà un giro del mondo gastronomico che nasce dalla passione per i viaggi e dallo spirito cosmopolita della chef indiana Ritu Dalmia e di Viviana Varese. Della formazione del personale e della creazione delle ricette per la parte di menu dedicata all’Europa e all’America si occuperà Viviana, mentre Ritu si occuperà della parte di menu dedicato all’Asia.
“Sfidante è la ricerca degli ingredienti, che devono riuscire a riproporre nella ricetta quello che è il gusto di un determinato paese; infatti, ad esempio, la realizzazione dei tacos sarà affidata a tre ragazzi messicani, che in Umbria li realizzano come si deve, lavorano il mais con la calce, ed il sapore è fantastico.
Un luogo accessibile a tutti, dove con € 20/25 si potrà mangiare 2/3 tapas e bere un cocktail”.
L’idea è quella di mangiare bene spendendo poco.
Un particolare concept del ristorante che trova in Milano le condizioni ideali. Accoglienza , molteplicità di opportunità e cambiamento, sono elementi caratterizzanti che certamente aiutano lo sviluppo di progetti originali e sfidanti.
Anzi, l’auspicio della chef è che Milano possa essere un modello per tutte le altre città italiane.
Wicuisine di Wicky Priyan
Un nome semplice per la cucina di Wicky Priyan, tutto suo: Wicuisine. Essa si identifica nella cucina tradizionale giapponese contaminata con i migliori ingredienti mediterranei.
È il frutto di un lungo percorso di formazione personale dello chef, fatto di un’infanzia vissuta in mezzo alla natura, di arti marziali, di gavetta accanto a veri maestri nei grandi ristoranti giapponesi e internazionali, di viaggi da un continente all’altro, fino all’incontro con l’Italia, dove vive da 14 anni.
Wicuisine nasce da rigore, disciplina e dedizione al lavoro assieme a cultura e sensibilità, con una conoscenza enciclopedica di decine di materie prime, da erbe di prato e di orto a legni per affumicare, dal riso ai fiori, dai pesci agli oli, dalle spezie ai vini, fino alle acque e alle carni.
Nato nello Sri Lanka, con un passato da criminologo prima di diventare chef, Wicky ha vissuto prima a Madras, in India, allo scopo di approfondire i temi della sua tesi di laurea, per poi viaggiare ed approdare in Giappone, dove rimarrà per 30 anni.
Qui diventa l’unico allievo non giapponese di un grande Maestro di cucina “Kaiseki”, Kaneki, contemporaneamente, discepolo del grande Sushi Kan, Maestro di “Edomae” – vecchio nome di Tokyo -, ovvero “il sushi alla sua massima espressione”.
Dal maestro Kaneki riceve la ricetta del maialino, che nel suo ristorante milanese è molto apprezzato.
Lo chef Wicky Priyan oggi riporta nella sua cucina quanto appreso dai suoi maestri nel corso dei suoi viaggi, dall’Asia alla Papua Nuova Guinea, da Bali alla Thailandia fino all’Europa.
La ricetta presentata per la Milano Food Week è inedita: un controfiletto di manzo con una minestra speziata, ricetta di Bali, aggiunta di pasta italiana di grano duro, decorata da un pesto particolare, preparato con il basilico giapponese tagliato al coltello.
Il tempo di preparazione della ricetta è di 6 ore. Il sapore del piatto è unico: la minestra ha un sapore equilibrato e fresco, la carne è morbida e il pesto ha un sapore e un profumo molto più intenso di quello ligure.
Filippo La Mantia
Nasce a Palermo e cresce in una famiglia dove il cibo, come in tutte le famiglie del Sud, è sinonimo di amore, tradizione e convivialità. Le sue origini danno un’impronta fondamentale alla sua cucina. Ha un lungo e variegato percorso che va dall’apertura di un resort, nell’Isola di Java, ad esperienze in Costa Smeralda, riuscendo sempre a fare un grande lavoro di squadra, formare le brigate, creare grandi gruppi.
Di Filippo La Mantia colpisce la simpatia, la passione e l’umiltà. Un grande chef che ama definirsi cuoco, dice di non usare tecniche di alta cucina, ma di incuriosire le persone attraverso un’idea essenziale di cibo: “se il cuoco nutre le persone in maniera semplice e facile, loro percepiranno il progetto con gioia e vorranno tornare e parlarne”.
La ricetta presentata per la Milano Food Week è un cous cous con un pesto siciliano preparato con basilico, finocchietto selvatico siciliano, mandorle di Avola, capperi di Pantelleria, alici, pomodorini e olio di oliva ligure e pane tostato.
La scelta degli ingredienti è accurata, così, ad esempio, il finocchietto proviene da un vivaio siciliano, mentre per quanto riguarda l’olio, viene preferito, per questa ricetta, quello ligure perché più leggero.
Anche in questo caso la degustazione da parte dei partecipanti è un successo.
Ritorno alla mia domanda iniziale: “È possibile riuscire a delineare delle tendenze per la ristorazione?”
La risposta è affermativa, a partire dalla definizione del concept per un ristorante che non può prescindere dalla localizzazione, ciò che si può fare in una metropoli non è fattibile altrove.
Un nuovo concetto comincia ad imporsi: l’accessibilità per un numero maggiore di persone ad un buon ristorante, ovvero mangiare bene spendendo il giusto.
La storia e la passione dello chef dà indentità ai suoi piatti e rende la sua cucina riconoscibile agli occhi e al palato dei suoi clienti.
La ricerca accurata degli ingredienti, con una particolare attenzione alle zone di produzione, non necessariamente a Km0, perché bisogna salvaguardare anche l’originalità di certi piatti.
L’attenzione al cliente, che parte dalla cura dei dettagli non solo in cucina, ma anche in sala.
I tre chef rilevano la necessità di formare direttamente il personale di sala, che deve essere pronto ad accogliere e far stare bene i clienti nel ristorante. Anzi, si rileva che non ci sia abbastanza personale di sala qualificato, nonostante le iscrizioni alle scuole di cucina siano molto cresciute negli ultimi anni, arrivando al 600% in più per le scuole più rinomate, la richiesta, però, riguarda i corsi per diventare cuoco.
Per gli aspiranti chef emerge che l’apprendimento delle tecniche in cucina è fondamentale, ma è altrettanto importante fare esperienza nei ristoranti dei grandi maestri, approfondire la conoscenza degli ingredienti usati e soprattutto creare un percorso professionale e una storia che diano un’ impronta unica ai propri piatti.
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